Ieri doveva essere una giornata di relax, non avevamo nessun impegno e avevamo voglia di una giornata dai ritmi lenti.
Abbiamo giocato con i bimbi nel letto per aspettare le 9, orario di apertura del negozio/bar di prodotti italiani davanti a casa, abbiamo indossato infradito e pantaloncini, siamo usciti e ci siamo seduti davanti a un rassicurante cappuccino e ad una fetta di torta della nonna respirando l’aria della nostra Italia.
Poi abbiamo avuto voglia di girovagare in macchina senza meta lungo la costa, abbiamo trovato un molo e passeggiato in mezzo alle barche a vela e a motore, ultima passione di Carlo Alberto. Rientrando abbiamo visto una zona carina con dei ristorantini con la terrazza sulla spiaggia e abbiamo deciso di tornarci per pranzo insieme agli amici. Il pranzo è stato piacevole e rilassato, proprio come dovrebbe essere ogni pranzo domenicale. Non c’era il sole, ma non c’era nemmeno l’umidità insopportabile degli ultimi giorni. Pochi clienti, tutti occidentali di mezza età, molto silenzio, il rumore del mare. Se fossimo stati senza bimbi mi sarei sdraiata in spiaggia a fare un inusuale per me pisolino pomeridiano.
Con calma abbiamo deciso di andare e ci siamo fermati davanti alle auto per salutare gli altri. Carlo Alberto e l’amica che non si sarebbero voluti salutare, chiedevano di salire su una stessa auto per continuare a stare insieme. Carlo Alberto, mentre rideva felice, si è diretto saltellando verso l’auto a pochi metri da noi. E’ successo tutto in un attimo e il sorriso che era stampato sul mio viso si è spento, il suo invece si è trasformato in una smorfia di dolore. Ho visto quel cane sonnecchiante davanti al quale siamo passati anche all’arrivo, avventarsi su Carlo Alberto, le sue zanne chiudersi sulla gamba del mio bambino. Mi sono precipitata da lui mentre il cane se ne andava correndo. Ho cercato di calmarlo mentre nella mia mente si affollavano dei pensieri precisi, informazioni lette mesi prima, sui cani randagi, sulla rabbia molto diffusa in Thailandia. Il gestore del ristorante è corso verso di noi con dell’acqua e dei tovagliolini. Ripetendo in maniera ossessiva la parola “doctor”, ci ha fatto segno di andare subito. Carlo Alberto urlava in un modo disumano aggrappato al mio collo, impedendomi di guardargli la gamba, io vedevo solo il sangue cadere a terra. In qualche modo Francesco ci ha caricato sull’auto dicendomi che dovevamo andare in ospedale. Carlo Alberto ha gridato ancora di più che non voleva andarci. Non eravamo lontani, ma era domenica e la strada che parte dalla spiaggia era come sempre bloccata dalle auto in coda. Eravamo continuamente fermi e Francesco mi ha detto che sarebbe servito qualcosa di bianco. Ho tirato fuori dalla borsa il pantaloncino bianco di ricambio preso per Carlo Alberto nel caso avesse fatto il bagno al mare, Francesco ha aperto il finestrino e ha iniziato a sventolarlo fuori suonando il clacson di continuo. Ho sentito la rabbia nella sua voce quando mi ha detto che non vedeva l’ora che io e i bimbi ce ne tornassimo in Italia, mentre cercavo di calmare Carlo Alberto, mentre gli cantavo la ninna nanna preferita di Diego cercando di mantenere ferma la voce, di non piangere, ma in quel momento l’angoscia si era impadronita di me. Avevo solo un pensiero fisso in testa e ho dovuto chiederlo a Francesco anche se Carlo Alberto mi sentiva. Volevo essere rassicurata che con una puntura potevamo stare tranquilli, che l’anti-rabbia funzionava al cento per cento. Gli ho detto che forse era importante essere tempestivi e lui si è attaccato ancora di più al clacson sorpassando a destra e sinistra. Anche se non parlava capivo che nella sua testa c’era il senso di colpa per averci portato in questo paese lontano. Ci è sembrato di stare in macchina una vita, il tempo sembra infinito quando tuo figlio piange disperato e tu non trovi il modo di calmarlo.
All’ingresso del pronto soccorso hanno caricato subito Carlo Alberto su una barella, io li ho seguiti mentre Francesco andava a parcheggiare. Non sapendo come si dice morso in inglese, ho ripetuto a tutti quelli che mi interrogavano “a dog, a wild dog”, un cane, un cane selvaggio. In realtà non sembrava selvaggio, ma volevo che fosse chiaro che dovessero fare tutto quello che potevano per evitare la rabbia a mio figlio. In realtà non c’è stato bisogno di esigerlo, mi hanno detto subito che dovevano iniettare immediatamente il vaccino, due dosi, una sul braccio e una sulla ferita perché le zanne erano penetrate in profondità. Prima dovevano lavare bene la ferita. Quando hanno iniziato a stargli attorno, Carlo Alberto ha reagito con la solita rabbia che ha davanti ad ogni pratica medica dopo che si è operato per togliere adenoidi e tonsille. Sono venuti in 3 a tenerlo perché quando è arrabbiato ha una forza incredibile ed è difficile tenerlo fermo. Io gli ho tenuto bloccata la testa con la bocca incollata al suo orecchio per calmarlo, ma lui era completamente in preda ad un panico incontrollabile. Per pulirlo bene sono entrati con la siringa dentro i fori dei denti e ho capito guardando quanto fossero profondi. Poi le iniezioni. Non ci hanno fatto aspettare, sono stati rapidi ed efficienti, ma ancora mi è sembrata un’eternità. Una volta che è stato liberato, mi sono dovuta prendere le botte di mio figlio arrabbiato perché si è sentito tradito, perché ho permesso che gli facessero del male. E quelle botte e quello sguardo mi hanno fatto male al cuore. Per fortuna quando gli ho detto che era tutto finito, ha smesso di piangere che ormai non ne aveva nemmeno più la forza. In quel momento mi è scesa l’adrenalina anche a me, avevo bisogno di riposarmi e ho faticato a capire tutto quello che mi veniva detto in inglese. Avevo anche paura di perdermi qualcosa, brutto non avere padronanza della lingua quando ti trovi in un ospedale all’estero, per quanto ti possa sembrare di sapertela ormai cavare con l’inglese, i termini medici ti mancano sempre. Francesco si stava occupando del lato burocratico perché il Bangkok Hospital è un ospedale privato e senza carta di credito o polizza assicurativa non ti fanno nulla. Quando siamo usciti dal pronto soccorso e fuori c’erano i nostri amici ad aspettarci, Carlo Alberto ha accennato un sorriso seduto sulla sua sedia a rotelle, io ho fatto scendere quelle lacrime che ho cercato di trattenere per tutto il tempo.
Ora sono qui a letto con lui e lo guardo dormire tranquillo con la sua gamba fasciata appoggiata al cuscino. Man mano che passavano le ore sono passata dall’apatia e lo scoraggiamento che mi ha pervaso negli ultimi giorni, ad uno stato più reattivo. Sento l’energia che arriva e so che arriva perché sono arrabbiata, perché è stato troppo difficile sopportare la disperazione e il dolore di mio figlio e perché voglio reagire a quest’onda negativa. Non so cosa ci stia succedendo e perché la sfortuna si stia un po’ accanendo su di noi, non sciagura perché si tratta di cose risolvibili, ma sfortuna sì. La devo chiamare così. Continuo a rompere un sacco di cose, i bimbi continuano per un motivo o per l’altro a non stare bene, per fare ogni cosa sorgono mille complicazioni, non ne va una per il verso giusto. Stamattina Francesco mi aveva detto mentre facevamo colazione che era bello passare finalmente un weekend senza andare in ospedale e dopo qualche ora eravamo di nuovo lì per una causa assolutamente inaspettata. Razionalmente continuo a non credere che ci sia qualcuno che ci voglia male, per invidia o per altro. Comunque se questo qualcuno esiste voglio dirgli che non ha proprio nulla da invidiarci perché queste prime settimane in Thailandia non sono state affatto facili e soprattutto che non mi piegherò perché io che ho un carattere mite e posso sembrare fragile, non lo sono affatto. E proprio nel momento del bisogno tiro fuori tutta la mia forza e lotto per uscire fuori dai momenti bui. Sono consapevole che negli ultimi giorni mi sono lasciata un po’ abbattere dagli avvenimenti, ma oggi sento di aver toccato il fondo e di essere pronta a risalire e a fare di tutto per far girare la ruota e iniziare a vedere il bicchiere mezzo pieno in questa nostra nuova esperienza di vita.
4 thoughts on “Doveva essere una giornata tranquilla”
Ciao
sono passata di qui per un saluto e mi sono messa a leggere i tuoi post uno dopo l’altro. Questo mi ha colpita tanto per quello che e’ accaduto al tuo bimbo e per come immagino ti sia sentita tu. Da sempre amo i cani, il cane di famiglia e’ un grosso animale di 30kg so come gestirli eppure in Thailandia mi sono sembrati cosi’ mansueti, cosi’ “addormentati” e deboli.
Non ho mai pensato di scansarmi, di girare lontano da loro.
Non riesco a immaginare fino in fondo la tua paura e lo shock, temo che ti rimarra’ dentro per un po’. Spero che voi tutti possiate godere di un periodo tranquillo finalmente, mi sa che questo periodo e’ stato davvero intenso!Vi penso, da qui!
Fra
ps scusa il poema!!!:)
Ciao Francesca,
piacere di conoscerti! Mi fa piacere che tu sia passata.
Anche io ho sempre amato i cani e, nonostante informandomi prima della partenza avessi saputo che randagismo e rabbia sono uno dei problemi della Thailandia, i cani qui mi sono sembrati sempre tranquilli e, come dici tu, un po’ addormentati. Anche quello che ha aggredito mio figlio lo era. Ci ero passata davanti almeno 5/6 volte con mio figlio piccolo di un anno e mezzo per mano, dato che si era stancato di stare dentro al ristorante. Mi vengono i brividi tutte le volte che ci penso dato che la sua gola sarebbe stata proprio all’altezza del suo muso ed avrebbe potuto aggredire anche lui… Quando è successo, il cane stava dormendo accanto alla macchina e probabilmente si è spaventato perché mio figlio, che non l’aveva visto, si è avvicinato saltellando e gridando. Al di là del morso, che ha causato una brutta ferita, il problema era che la rabbia qui è molto diffusa.
Sono state ore angoscianti e sì, purtroppo la paura è rimasta. Carlo Alberto ha fatto la pipì a letto di notte diverse volte nei giorni successivi e ora tutte le volte che incrocia un cane scappa letteralmente terrorizzato. E come sai qui in Thailandia, soprattutto nelle città, ci sono cani randagi ad ogni angolo. Mi fa male vederlo così impaurito. Confesso che anch’io non ci passo più davanti con la serenità di prima…
Ciao,
mi ritrovo a leggere nel tuo blog dopo aver cercato informazioni sul Loy Krathong (bellissimo ed esaustivo) ed ho divorato i tuoi post.
I tuo dubbi, il tuo entusiasmo le tue disavventure sono un po’ anche mie anche perche’ li vivo in prima persona da 20 anni anche io a Pattaya.
Un abbraccio
Carmen
Ciao e benvenuta! Sono curiosissima di sapere cosa fai da 20 anni a Pattaya??? Moglie di qualcuno che lavora qui anche tu? Non so sinceramente se potrei vivere qui per 20 anni…