Mi viene da ridere a pensare che uno dei primissimi pranzi fuori qui a Pattaya siamo finiti proprio in un ristorante specializzato nell’Hot-Pot. Eravamo nell’ennesimo centro commerciale e Carlo Alberto ha iniziato con la sua tipica cantilena estenuante “ho fame, ho fame, ho fame!” che non cessa finchè non si trova qualcosa sotto i denti. Giusto il tempo di pagare alla cassa e ci siamo infilati nell’unico ristorantino dentro il supermercato che aveva un pò di carne che non sembrava fritta nelle immagini del menù esposto fuori dalla porta. Una volta seduti con il menù in mano abbiamo ordinato velocemente delle fettine di pollo fotografate crude e delle polpette di gamberetti, sempre assediati dalla cantilena di Carlo Alberto. E dopo qualche minuto ecco comparire sul nostro tavolo l’oggetto del terrore: il fornello dell’Hot Pot addirittura in versione “Happy new year”, che devo dire lo rendeva un pò più simpatico ai miei occhi. Poi mi è scappato da ridere vedendo Francesco che impallidiva.
In effetti ora mi scappa da ridere, ma abbiamo un ricordo terribile dell’unica altra esperienza con questa pietanza tipica cinese. Ci trovavamo in Sichuan, ai confini con il Tibet, in uno dei nostri ultimi viaggi pre-bambini. Per la prima volta avevamo preso una guida per qualche giorno, indispensabile perchè in quei luoghi praticamente nessuno parlava inglese e il nostro cinese era veramente povero. Cindy si era rivelata un’ottima guida e ci aveva regalato diverse esperienze speciali. Quella sera ci trovavamo in una cittadina piuttosto sperduta scelta come base per visitare un parco naturale e Francesco le chiede di indicarci un ristorante non turistico dove possiamo mangiare qualcosa di tipico. Lei prontamente ci dice “Hot Pot” e noi, ignari di cosa fosse, accettiamo. Premetto che avevamo camminato tutto il giorno e avevamo pranzato nell’unico punto di ristoro all’interno del parco, una sorta di self service, dove non eravamo riusciti a trovare molto di mangiabile per i nostri palati a parte il riso in bianco. Era tutto a base di carne esiccata di yak (montone) , burro di yak, tè al burro di yak ed ancora yak in tutte le versioni possibili. Quando l’autista ci lascia quindi davanti a quello che a dire il vero, è l’unico ristorante che abbiamo visto dopo che abbiamo lasciato l’albergo, siamo quindi affamatissimi e passiamo sopra al fatto che il locale è molto modesto e che siamo gli unici avventori. Vediamo degli strani tavoli con un buco in mezzo e sotto una sorta di fornellino e Francesco pensa ad una sorta di pietra ollare su cui cuocere il cibo. Cindy prima di lasciarci soli ci aiuta ad ordinare dato che il menù è scritto in ideogrammi e loro non parlano una parola di inglese, Diciamo che vorremmo mangiare carne e verdura e Cindy ci dice che ci consigliano un chiken non ricordo cosa dicendo che è la loro specialità e che è “very delicious”. E a quel punto ci saremmo dovuti spaventare perchè quando un cinese pronuncia la parola “delicious” c’è da stare attenti a quello che ti arriva nel piatto, ma la fame era tanta.. Ordiniamo anche verdura e noodles. Dopo un pò di attesa arrivano due cameriere che trasportano un pentolone enorme e ce lo appoggiano sul tavolo sotto il quale è stato acceso il fornello. Tolgono il coperchio e vediamo una sorta di brodaglia scura non troppo invitante. Ci portano poi della verdura e dei noodles crudi e ci fanno segno di buttarli dentro a cuocere. Poco convinti eseguiamo e chiediamo faticosamente notizie del pollo, loro ci fanno segno che è già dentro. Dopo un pò di tempo, armati di sole bacchette, ci accingiamo a “pescare” qualcosa. Io sono un pò in difficoltà perchè i pezzi sembrano grandi e faccio fatica a tirarli sù, Francesco più abile riesce subito ed ecco uscire fuori un pezzo di carne nero come il carbone, poi anch’io tiro sù una cosa più piccola e mi appare una zampa di gallina nera che più nera non si può. Mi si rivolta lo stomaco e capisco che la parola che non avevo colto dopo il chiken qualcosa era “black”. Io mi rifiuto di mangiarlo, Francesco invece prova, ma dice che ha un sapore un pò strano e decide di passare come me alla verdura e ai noodles. Il problema era che tutto aveva preso quel sapore un pò strano orribile e l’unico modo di buttare giù qualcosa era immergerlo nella salsina di peperoncino che copriva il sapore del pollo, ma toglieva il respiro tanto era infuocata. Oltretutto quando cercavo di afferrare i noodles con le bacchette mi tornavano ad uscire sempre quelle orribili zampe nere che sono state il mio incubo per giorni. Abbiamo poi tentato di ordinare almeno un pò di frutta per rinfrescarci la bocca, ma non siamo riusciti ad ottenere niente. Ce ne siamo tornati in albergo sconsolati, affamati e con un alito nterribile che ci ha perseguitato per almeno 2 giorni!
Per onor del vero devo dire che questo hot-pot a Pattaya è stato molto meglio, Al posto della brodaglia c’era, credo, dell’olio vegetale e le fettine di petto di pollo che ci hanno portato per cuocergliele dentro, risultavano tenere ed abbastanza insapori, Con un pò di sale se le sono gustate sia Carlo Alberto che Diego. Certo non ci siamo alzati da tavola particolarmente sazi, ma almeno l’alito era a posto!
2 thoughts on “Hot Pot!”
Tterribile l hot pot,io anche se vivo a suzhou non l ho mai voluto provare !!!
In effetti è stata un’esperienza terribile, ma credo soprattutto a causa del pollo nero…